Le articolazioni più colpite dall’artrosi sono: quelle delle mani e dei piedi, quelle della colonna vertebrale, il ginocchio e l’anca.
Artrosi è una patologia che colpisce entrambe i sessi ed in Italia sono oltre 4 milioni le persone che ne sono affette di cui la maggior parte sono gli anziani ma anche i giovani non ne sono dispensati.
La maggior parte degli individui dai 65 anni in su sono colpiti da tale fenomeno patologico.
Indagini epidemiologiche indicano che a livello mondiale una persona su tre è affetta da patologia artrosica.
Inoltre, tali indagini non riportano alcun legame con le aree geografiche del pianeta per la sua diffusione.
Ad ogni modo, nonostante le differenze tra i due sessi non siano importanti, sembrerebbe che il sesso femminile sia quello più offerente terreno fertile all’instaurazione della patologia reumatica.
Altrettanto legame tra l’artrosi e la predisposizione razziale risulta essere assente.
ANATOMIA
Prima di procedere nella disquisizione di tale malattia è necessario presentare una breve introduzione di tipi anatomico delle strutture articolari e periarticolari per capire quali di esse risultano oggetto di lesione dell’affezione patologica, quali di esse sono responsabili della sintomatologia dolorosa evocata dalla malattia, quali meccanismi eziopatogenetici sono alla base del suo instaurarsi ed evolversi nonché il razionale dietro gli interventi preventivi e curativi.
Le articolazioni collegano le ossa dello scheletro fra loro.
Esse, a seconda del loro grado di mobilità possono essere classificate nelle tre seguenti categorie di artrosi:
Sinartrosi (articolazioni immobili)
Anfiartrosi (articolazioni semimobili)
Diartrosi (articolazioni mobili)
Le Sinartrosi presentano il fattore caratteristico di essere congiunte tra loro grazie all’interposizione di uno strato di tessuto connettivo denso, o tessuto cartilagineo o tessuto osseo.
Quindi, ne consegue che sulla base delle tipo di tessuto che collega le ossa tra loro, le sinartrosi si distinguono in:
sindesmosi se è il tessuto connettivo denso ad interporsi
sincondrosi se esse sono congiunte da tessuto cartilagineo
sinostosi se congiunte da tessuto osseo
Le Anfiartrosi sono costituite da ossa le cui superfici cono rivestite di cartilagine ialina e tra le ossa stesse vi si interpone uno strato di cartilagine fibrosa che le congiunge.
Un esempio di esse sono le articolazioni tra i corpi delle vertebre tra loro.
A far parte delle diartrosi sono le diverse e seguenti categorie articolari:
Artrodia (esempio: le articolazioni dei processi articolari delle vertebre)
Enartrosi (esempio: l’articolazione scapolo-omerale e la coxo-femorale o anca)
Articolazione condiloidea (esempio: la radio-carpale o polso)
Articolazione trocleare (esempio: articolazione del gomito e del ginocchio)
Articolazione trocoide (esempio: articolazione radio-ulnare prossimale)
Articolazione a sella (esempio: articolazione dell’osso trapezio con l’osso I metacarpale)
Poiché le articolazioni maggiormente affette dall’artrosi rientrano tra le sottoclassi articolari, qui sopra elencate, facenti capo alla categoria delle " diartrosi ”, gli elementi costitutivo-strutturali delle articolazioni che verranno qui di seguito descritti fanno riferimento specifico a detta categoria e non alle sinartrosi ed anfiartrosi.
Nelle diartrosi i capi ossei che si interfacciano tra loro vengono racchiusi da una capsula articolare formata di tessuto fibroso.
Tale capsula presenta al suo interno ed intimamente a sé aderente una membrana di colore giallastro denominata: “membrana sinoviale”.
La membrana sinoviale delimita la cavità articolare, cioè la camera entro la quale sono racchiusi i capi ossei che si interfacciano.
I capi ossei sono rivestiti di cartilagine articolare (sede anatomica oggetto del fenomeno degenerativo proprio dell’artrosi).
La cartilagine articolare non è innervata ne tanto meno vascolarizzata.
Pertanto, la cartilagine si trova in una condizione ambientale molto precaria visto l’apporto di nutrimento che deve essere soddisfatto in assenza di irrorazione sanguigna e per le notevoli sollecitazioni meccaniche a cui è soggetta.
Le uniche due forme di nutrimento sono:
- una di minor contributo data dalla diffusione dei vasi che irrorano il tessuto osseo subcondrale
- ed una seconda, la più importante, data dal liquido sinoviale secreto dalla membrana sinoviale in risposta alle sollecitazioni meccaniche.
Quindi, il liquido sinoviale si stende come una pellicola di film sulla cartilagine articolare assolvendo a due funzioni contemporaneamente: nutrimento e lubrificazione!
Più precisamente, l’artrosi è una patologia reumatica che colpisce coloro che rappresentano l’unica popolazione cellulare caratterizzante il tessuto cartilagineo delle articolazioni: i condrociti.
Si tratta di cellule specializzate che formano la cartilagine articolare.
Pertanto, la salute della cartilagine articolare è funzione dell’attività di tali condrociti.
I condrociti regolano l’attività della matrice nella quale essi si trovano; essi producono le sostanze base della matrice, regolano l’attività enzimatica deputata alla riparazione e rimodellamento della cartilagine articolare.
Pertanto, i condrociti sono responsabili del mantenimento di condizioni di normalità della cartilagine articolare ma anche della causa e del mantenimento di processi patologici a carico della struttura stessa.
Quindi, la salubrità della cartilagine articolare dipende dallo stato di salute dei condrociti che a sua volta dipende dalla condizione vigente nel difficile micro-ambiente nel quale essi si trovano.
Infatti, le caratteristica ambientale propria del sito anatomico di pertinenza di tali unità cellulari altamente specializzate è quella di essere privo di irrorazione sanguigna e di essere continuamente sottoposto a forti sollecitazioni meccaniche.
Da qui si può ben capire come alterazioni degli equilibri di tale ambiente possano indurre alterazioni nella funzionalità dei condrociti con importanti conseguenze anche sulla loro capacità di rimodellamento tissutale specifico.
L’eziopatogenesi di fenomeni artrosici in siti articolari ben precisi è caratterizzata da condizioni che predispongono eventi meccanici stressogeni a livello delle articolazioni affette.
Ad esempio: condizioni di obesità, fenomeni traumatici o attività lavorative pesanti (che implicano l’utilizzo di oggetti vibranti e/o azioni costantemente reiterate nel tempo sottoposte a carichi relativamente importanti e/o in posizioni non fisiologiche) alterano l’equilibrio omeostatico del micro-ambiente in cui operano i condrociti e ciò si riverbera anche nelle loro capacità di rimodellamento.
Tali condizioni caratterizzano quella che è chiamata: artrosi di tipo secondario.
Cioè, il fenomeno artrosico, in questo caso, non prevede una condizione di familiarità nella sua contrazione e colpisce articolazioni ben precise e cioè quelle più soggette a stress da carico.
E’ un fenomeno che colpisce anche i giovani ed è una delle cause più diffuse di disabilità fisica e perdita di giornate lavorative con grandi ripercussioni sui costi socio-economici.
Invece, l’artrosi di tipo primario è quella che può aggredire più articolazioni, apparentemente non legata a fattori da stress da carico quanto invece a fattori di predisposizione ereditaria. Infatti, non è difficile notare che un fenomeno artrosico di tipo primario possa essere un elemento comune a più membri della medesima famiglia.
SINTOMI ARTROSI
Il sintomo che le persone affette da fenomeno artrosico conclamato riferiscono è il dolore.
Dolore che mai nasce dalla sede oggetto di alterazione strutturale: la cartilagine articolare.
Questo perché si tratta di una struttura non dotata di terminazioni nervose sensitive.
Pertanto, la genesi del dolore la si deve non direttamente alla lesione cartilaginea ma ad alterazioni anatomico-funzionali ad essa legate.
La lesione cartilaginea determina un irritazione della membrana sinoviale, per cui aumenta la pressione a livello della camera articolare nonché la quantità di liquido sinoviale che essa produce.
L’aumento pressorio all’interno della cavità articolare e del liquido sinoviale fanno distendere la capsula articolare e ciò crea dolore.
A peggiorare la situazione interverrebbero altri fattori causanti ulteriori incrementi pressori a livello articolare.
Ad esempio, se l’articolazione colpita dovesse essere ginocchio e/o anca, la semplice deambulazione incrementerebbe la pressione all’interno dell’articolazione distendendo ulteriormente la capsula articolare ed amplificando di riflesso anche lo stimolo dolorifico.
Un'altra condizione generante dolore nell’artrosico è la stimolazione periostale: cioè il dolore proveniente dalla membrana sinoviale - ricca di terminazioni sensitive e sensibilmente vascolarizzata – quando questa avvolge neo formazioni ossee reattive al processo condrolitico.
Purtroppo la diagnosi precoce di artrosi non è possibile poiché il dolore compare quando la lesione cartilaginea si è ormai evoluta e, quindi, completata.
In pratica, il dolore è il sintomo lamentato dal paziente artrosico, ma in realtà è l’elemento tardivo del processo artrosico ormai conclamato.
D’altra parte l’individuazione del processo di lisi della matrice cartilaginea nelle sue fasi iniziali non è osservabile; infatti la ricerca sta puntando sulla messa appunto di tecnologie di imaging ed analisi di laboratorio che possano individuare la nascita del processo prima ancora dell’attivazione del campanello d’allarme dell’avvenuta evoluzione dello stato patologico: lo stimolo dolorifico.
Gli stimoli dolorifici seguenti a processo artrosico sono diversi a seconda delle sedi di localizzazione della patologia ed anche le conseguenze fisicamente invalidanti sono diverse.
Ad esempio, l’artrosi del rachide porta a dolore ma anche a deformazioni dei dischi intervertebrali con conseguente compressione delle radicole nervose dalle quali si dipartono di nervi periferici causando così dolori parestesici a carico degli arti (sciatalgie e cruralgie).
Invece, l’artrosi della mano può avere ripercussioni su azioni di destrezza e di erogazione di forza laddove la mano stessa giochi un ruolo fondamentale nel movimento.
Invece, il processo artrosico a danno del ginocchio ed anca porta a vere e proprie disabilità invalidanti nella motricità a livello della deambulazione.
RIGIDITA’ ARTICOLARE
La rigidità articolare è una condizione che occorre, normalmente, al risveglio mattutino e/o comunque dopo periodi sensibili di totale immobilità. La rigidità articolare tende a venire meno in meno di mezz’ora.
LIMITAZIONE ARTICOLARE
La limitazione dei movimenti articolari segue una dinamica evolutiva che parte da scelte motorie di tipo antalgico da parte del soggetto artrosico per poi degenerare in totale disabilità funzionale.
Il soggetto artrosico, agli stadi iniziali, conserva la totale escursione di movimento dell’articolazione malata, ma ne limita la funzionalità ai gradi di movimento che non causano dolore. In seguito la combinazione della retrazione delle strutture articolari e peri articolari – dovuta al parziale inutilizzo dell’articolazione affetta – e le formazioni ossee reattive tipiche dell’evoluzione della patologia scaturiscono in vere e proprie limitazioni articolari.
STADI EVOLUTIVI DELL’ARTROSI
L’evoluzione della artrosi passa attraverso cinque distinti stadi che si differenziano per il diverso grado di lacerazione strutturale della cartilagine articolare affetta e per il conseguente diverso grado di stimolazione dolorifica e limitazioni funzionali che seguono:
1° stadio: la cartilagine articolare non mostra alterazioni morfo-strutturali, pertanto, anche il dolore è assente.
2°stadio: la struttura della cartilagine articolare si affievolisce (condizione meglio nota col nome tecnico di “condromalacia”) ed in questo stadio si è ancora in assenza di sintomatologia dolorosa.
3° stadio: la struttura cartilaginea risulta danneggiata ed il dolore emerge in funzione dei carichi a cui si sottopone l’articolazione affetta.
4°stadio: in questo stadio la cartilagine articolare risulta lacerata ed i dolori diventano cronici.
5°stadio: il danneggiamento strutturale si diffonde anche a carico del sottostante tessuto osseo subcondrale e tale estensione anatomica nell’alterazione strutturale si accompagna a rigidità articolare.
CONSEGUENZE PATOGENICHE DELL’ARTROSI
In tal sede si sono discusse le possibile cause (meccanismi lesivi acuti e da usura) dell’artrosi.
Ma i processi evolutivi dell’artrosi non rappresentano solo la conseguenza di condizioni patogenetiche predispondenti, ma sono esse stesse motivo eziopatogenetico di ulteriori sviluppi invalidanti - in questo caso infiammatori come l’”artrite” - che accelerano il processo artrosico.
La patogenesi dell’artrite in un soggetto con evoluzione in corso del processo artrosico segue il seguente iter evolutivo:
Gli stadi intermedi di evoluzione del processo artrosico danneggiano la cartilagine articolare che incomincia a decomporsi.
Questo è il trigger metabolico per la liberazione di enzimi catabolici che decretano un ulteriore sfaldamento della matrice cartilaginea già, in parte, compromessa.
L’ulteriore lisi tissutale supporta il continuo rilascio enzimatico, ne consegue un circolo vizioso distruttivo a danni della cartilagine articolare che si auto alimenta.
L’applicazione di stress da carico sulle articolazioni con le loro rispettive cartilagini allo stadio 3° dell’evoluzione artrosica (danneggiamento) determinano i primi eventi di fissuraizone della cartilagine con conseguente lacerazione.
Ne consegue che la ripetitività dei movimenti su tali articolazioni genera ulteriori sfaldamenti della matrice cartilaginea con formazione e deposito del “detritus”.
Alla sua formazione si associa la limitazione funzionale dell’articolazione affetta.
Non solo, il detritus è responsabile dei processi flogisitici (infiammatori) della cartilagine articolare, condizione nota come: “artrite”.
L’infiammazione, artrite, è motivo di ulteriore liberazione enzimatica ed il ciclo enzimatico catabolico sulla cartilagine si perpetua fino ad arrivare agli stadi di artrosi più evoluti ed invalidanti.
LA TERAPIA CONTRO L' ARTROSI
Fondamentalmente il trattamento della patologia artrosica consiste di:
Trattamenti fisici, utilizzo di fans (anti infiammatori non steroidei), iniezioni intra-articolari di agenti favorenti la lubrificazione articolare, e di sostanze condro-protettrici atte a stimolare il fisiologico rimodellamento della matrice cartilaginea per riportarla in condizioni di omeostasi funzionale.
Per ciò che concerne la terapia fisica molto si può fare per attenuare la sensazione dolorifica invalidante, soprattutto negli stadi più lievi della patologia.
Innanzitutto bisogna eliminare le fonti di stress meccanico: obesità, lavori manuali pesanti, posture viziate sottocarico etc.
Quindi, nei soggetti obesi o in sovrappeso la dieta è sicuramente il primo intervento da tenere in considerazione. Inoltre, l’esercizio fisico isometrico risulta importante in tutti quei pazienti che sono affetti da gonoartrosi (artrosi del ginocchio).
Infatti, un miglioramento trofico-funzionale del quadricipite è in grado di alleviare sensibilmente la sintomatologia dolorosa in coloro affetti da gonoartrosi.
L’applicazione del calore è un'altra via per il trattamento fisico dell’articolazione artrosica.
Infatti, il calore riduce il dolore e migliora l’irrorazione sanguigna.
L’applicazione del calore può avvenire in modo artificiale, grazie a precise strumentazioni fisiatriche, oppure in modo naturale con l’esposizione al sole.
In quest’ultimo caso si deve far attenzione a non esporsi con un versamento endoarticolare in corso in quanto ciò potrebbe peggiorare la sintomatologia dolorifica.
Altra terapia utile al soggetto artrosico è la chinesiterapia e cioè il movimento senza eccessive sollecitazioni articolari.
Un esempio è il movimento in acqua ed il nuoto.
Il movimento in acqua consente di eseguire gesti motori che, in condizioni d’asciutto sarebbero responsabili di eccessive stimolazioni meccaniche ed evocazioni dolorifiche riflesse.
Il movimento in acqua, pertanto, consente movimenti articolari più completi, in quanto non compromessi dalla paura psicologica di avvertire dolore, che agiscono favorevolmente sul tono trofismo e funzionalità dei muscoli che passano sull’articolazione stessa, evitando in tal modo processi involutivi (retrazioni, atrofie) a carico delle strutture preposte al movimento (muscoli, tendini, articolazioni).
A cura del:
Dott.Francesco Casillo
Personal trainer Cagliari